L’ansia ha uno stretto rapporto con l’alimentazione. Anche se molte persone si abbuffano o si abbandonano a cibi ricchi quando sono stressate, c’è un piccolo gruppo di persone che perde l’appetito durante i momenti di forte ansia.
Le persone che perdono l’appetito sono così consumate dalla fonte del loro stress o ansia che non possono fare nient’altro, comprese le attività necessarie come mangiare.
Secondo il sondaggio del 2015 dell’American Psychological Association , il 39% delle persone ha affermato di aver mangiato troppo o di aver mangiato cibi malsani nell’ultimo mese a causa dello stress, mentre il 31% ha affermato di aver saltato un pasto a causa dello stress.
In generale si può affermare che i disturbi d’ansia sono tra i problemi di salute mentale più comuni che si verificano in concomitanza con i disturbi alimentari.
Uno studio controllato pubblicato nel 2019 ha rilevato che i disturbi d’ansia concomitanti erano comuni nel 60% delle donne con anoressia nervosa diagnosticata, nel 60% delle donne con bulimia nervosa e nel 57% delle donne con disturbi da alimentazione incontrollata.
I sintomi nei disturbi d’ansia
Le statistiche indicano l’ansia tra le patologie emergenti degli ultimi decenni.
Con ansia si definisce uno stato patologico dovuto a un insieme di sintomi anche diversissimi tra loro, tra i quali:
- dispnea
- senso di mancanza d’aria
- palpitazioni
- tachicardie
- dolori toracici o addominali
- sudorazioni
- nausee
- disturbi intestinali o urinari
- sonno disturbato
- insonnie
- emicranie
- cefalee
- senso di irrequietezza o di apprensione
- paure
- difficoltà di concentrazione
- facile affaticamento
- disturbi della memoria.
Questi sintomi si combinano tra loro in vario modo, creando un quadro assai complesso che finisce generalmente per risultare insostenibile al paziente.
Quando poi questi stessi sintomi si presentano in forma accentuata, l’ansia può sfociare persino in una forma invalidante, caratterizzata da tremori fissi o sporadici, fortissime sudorazioni, vampate di calore improvvise, vertigini, instabilità generalizzata, forti paure ingiustificate di vario genere, che vanno sotto il nome di «attacco di panico».
Ansia e rimuginio: la trappola del pensiero
Una delle principali componenti dell’ansia è il rimuginio, una forma di pensiero ripetitivo di tipo verbale e astratto che, nel tempo, mantiene e aggrava l’ansia, tipico soprattutto dell’ansia generalizzata. I pensieri che lo costituiscono si focalizzano su contenuti catastrofici di eventi che potrebbero manifestarsi in futuro; rimuginare dà l’illusione di prevenire e controllare la situazione, ma allo stesso tempo questi pensieri sono vissuti come incontrollabili e intrusivi (Borkovec et al., 2004).
Alla lunga, chi rimugina si percepisce debole, fragile, insicuro, spaventato e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro, di conseguenza il rimuginio si cronicizza e diventa disfunzionale e maladattivo (Clark, & Beck, 2010).
Mi sento in ansia quindi mangio
Può capitare di mangiare non per fame, ma in risposta a sentimenti, condizioni di stress ed emozioni, in particolare la rabbia. In questi casi si è di fronte a episodi di Emotional Eating, consistenti in una perdita di controllo per cui non è più il corpo a dettare cosa e quanto mangiare, bensì le emozioni vissute in quel momento.
L’emotional eating è stato individuato come fattore scatenante le abbuffate sia nella bulimia nervosa (BN) che nel Binge Eating Disorder (BED) o Disturbo da Alimentazione Incontrollata.
Con la prima definiamo un disturbo dell’alimentazione caratterizzato da abbuffate, condotte di eliminazione e preoccupazione per il peso e le forme del corpo.
Con la seconda si definisce un disturbo alimentare caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate non seguite, come nella bulimia nervosa, da vomito autoindotto o altri comportamenti compensatori.
Alcune persone tendono ad abbuffarsi quando sono tristi o particolarmente annoiate, per altri invece è un modo per evitare di pensare a questioni delicate della propria vita.
Le emozioni negative possono portare a una sensazione di vuoto o a un vuoto emotivo. Si crede che il cibo sia un modo per riempire quel vuoto e creare una falsa sensazione di ” pienezza ” o integrità temporanea.
“Tutto ha inizio con il pensiero del cibo a cui rinuncio quando sono a dieta. Questo si trasforma ben presto in un intenso desiderio di mangiare. All’inizio mangiare mi dà conforto e sollievo e mi fa sentire su di giri. Ma poi non riesco a smettere e mi abbuffo. Mangio e mangio freneticamente fino a che non sono strapiena. Alla fine mi sento in colpa e arrabbiata con me stessa.
(Tratto dal libro “Vincere le abbuffate” di Christopher G. Fairburn).
Voglio smettere di pensare
Se per qualche ragione non siamo in grado di controllare i nostri pensieri o le emozioni che proviamo, anche l’autocontrollo può venire meno, compreso quello relativo al comportamento alimentare.
Dunque è molto probabile che si possa canalizzare il proprio sentire verso il cibo perché si sperimentano emozioni (generalmente negative) che non si è in grado di gestire adeguatamente.
Non ci si riferisce soltanto a delle sensazioni negative specifiche , come ad esempio la rabbia o tristezza o paura , ma anche a stati d’animo come lo stato malinconico o lo stato d’ansia o lo stato d’agitazione.
Ecco che il cibo viene vissuto come un mezzo per alleviare uno stato d’animo negativo o per sostituire emozioni negative.
Cosa succede in pratica
La persona non avendo e non trovando a disposizione altri mezzi per gestire le emozioni che prova, si rimpinza di cibo per evadere momentaneamente da quella situazione che lo destabilizza. Il problema è che si instaura un circolo vizioso: alla temporanea sensazione di benessere apportata dal cibo, fa seguito il senso di colpa, vergogna per quanto si è fatto e il senso di sconfitta dovuto al sentirsi incapaci di far fronte ad un problema.
Questo senso di angoscia e di frustrazione alimenta altri sentimenti ed emozioni negative che si tenterà di evadere tramite un’altra abbuffata di cibo e così via.In presenza di una emozione troppo intensa, quindi, il cibo diviene un anestetico allontanando quella negativa e concentrandosi su quelle positive indotte dall’abbuffata.
Tendenzialmente tanto più è grande il disagio emotivo che si sta vivendo, tanto maggiore è la quantità di cibo che si sente il bisogno di dover ingerire per avere l’illusione di allontanare il problema. Si possono riscontrare problemi legati all’autostima e all’assertività, al perfezionismo, alle relazioni insoddisfacenti e alle situazioni/circostanze della vita.
Uno studio classico condotto con 32 pazienti ha identificato i principali fattori scatenanti.
I pazienti riferivano:
- 91% tensione
- 84% mangiare qualcosa
- 78% essere solo
- 78% avere voglia di specifici alimenti considerati “proibiti”
- 75% pensare al cibo
- 71% andare a casa (dopo la scuola o dopo il lavoro)
- 59% sentirsi annoiato o solo
Cosa fare?
Ansia, rimugini, emozioni negative, ricerca della perfezione dunque possono essere attivatori di un rapporto disequilibrato con il cibo, reagendo con la perdita dell’appetito o al contrario nel ricercarne conforto sedando così il proprio sentire.
È importante consultare un professionista se ritieni che i tuoi schemi alimentari siano fuori dal tuo controllo. La terapia può aiutarti a gestire l’ansia e tutti gli effetti che ha sulla tua alimentazione.
Se volete capire come è possibile affrontare i problemi con il cibo o con l’ansia provate a contattarmi: possiamo parlarne insieme per capire come intervenire.
Potete anche visitare la pagina del mio servizio dedicato a coloro che hanno un rapporto complicato con l’alimentazione e farvi un’idea di come potremmo lavorare insieme.
Bibliografia
https://www.healthline.com/health/emotional-eating
https://www.healthline.com/health/emotional-eating#When-to-see-your-doctor
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2859040/#!po=6.48148
Fairburn C. G. (2014). Vincere le abbuffate, Cortina Raffaello